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LA PAGINA DEL venerdì

  
 

 
 

la Pagina del VenerdìPresentiamo ai nostri lettori un hadith profetico tratto dal Sahîh di Muslim (libro 49, della Conversione, cap. I, hd. 2744) riguardante per così dire “l’esperienza ‘esistenziale’ del viaggiatore che smarrisce le sue provviste nel deserto” interpretato iniziaticamente da Ismâîl Haqqî nel suo noto commentario Rûhu l-bayân.
 

Un hadith profetico interpretato iniziaticamente da Ismâîl Haqqî

Nel Sahîh di Muslim (libro 49, della Conversione, cap. I, hd. 2744) si tramanda da Ibn Mas‘ûd che l’Inviato di Allah disse: “Allah è Felice della conversione del Suo servo credente in maniera più intensa (ashaddu farahan) di quanto non lo sia un uomo che sia assieme alla sua cavalcatura in una terra desertica e letale” per chi l’attraversa senza provviste. “Egli ha su tale cavalcatura da mangiare e da bere,” ma “a un certo punto si addormenta, e quando si sveglia (fa-stayqaza) essa se n’è andata. Allora si mette a cercarla sino a che non vien colto dalla sete, e si dice: ‘Tornerò dov’ero, e mi metterò a dormire sino a che non morirò.’ ” Torna nel punto in cui la cavalcatura se n’era andata, e si sdraia “mettendo la testa sul braccio, per morire (li yamûta). Poi si sveglia, e trova la cavalcatura presso di lui, con tutte le provviste, il mangiare e il bere: ecco che Allah è Felice della conversione del Suo servo credente in maniera più intensa di quanto non lo sia quest’uomo con la sua cavalcatura e le sue provviste.”

Nel nostro lavoro sul Tafsîr del Corano, nel quale stiamo procedendo dopo la recente pubblicazione della prima parte (dalla prima Sura alla settima), nel leggere il commentario intitolato Rûhu l-bayân, di Ismâ‘îl Haqqî, al versetto 90 dell’undicesima Sura ci siamo imbattuti in alcune brevi note, a nostro avviso estremamente interessanti, riguardanti tale hadith: “Chi perde la propria cavalcatura nel deserto della passione perché sopraffatto dalla dimenticanza,” dice Ismâ‘îl Haqqî, “deve far ritorno al ‘luogo’ in cui prima si trovava, e si intende la purissima Natura originaria (fitra), rimettendosi a Dio e morendo volontariamente, sino a che non ritrova quel che aveva perduto. Nel hadith comunque v’è un’allusione sottile (ishâra) alla Via iniziatica (tarîq), dal suo inizio sino al suo termine. L’allusione all’inizio della Via è costituita dalle parole del Profeta ‘…quando si sveglia (fa-stayqaza)’: il fatto di risvegliarsi infatti è lo stato iniziale di colui che è in Cammino. Quanto al termine della Via, l’allusione è nelle parole ‘…per morire (li yamûta)’: l’estinzione (fanâ’) a sua volta è la conclusione del Cammino verso Allah. Quanto infine alle parole ‘…poi si sveglia, e trova la cavalcatura presso di lui (fa-stayqaza fa-idhâ râhilatu-hu ‘inda-hu)’, ebbene esse sono un’allusione alla Permanenza (baqâ’) dopo l’Estinzione, e al ritorno (rugiû‘) alla condizione dell’umanità ordinaria (bashariyya).”

 

 

 

 

Questo testo colpisce perché descrive per sommi capi le fasi salienti della Via iniziatica, ma quello che è più interessante è il finale, con il riferimento ad una ‘fase’, definita “Permanenza (baqâ’)” che viene descritta come seguente al ‘termine della Via’ intesa in senso proprio, e che consiste nel “ritorno alla condizione dell’umanità ordinaria.”

Si tratta a nostro avviso di un’indicazione, benché del tutto generale, relativa a quella che René Guénon chiama la ‘Realizzazione discendente’. Nel cap. 23 (dal titolo Realizzazione ascendente e realizzazione discendente) del suo Iniziazione e realizzazione spirituale Guénon afferma infatti che “la realizzazione totale dell’essere si può vedere come l’unione di due aspetti, in qualche modo corrispondenti a due fasi di essa, l’una ‘ascendente’, l’altra ‘discendente’.” Se la prima di queste due fasi di solito è chiaramente descritta nei testi di carattere iniziatico, ed è costituita dal processo che porta “l’essere partito da un certo stato di manifestazione” ad elevarsi “fino all’identificazione con il suo Principio non manifestato”, processo che “culmina nell’‘uscita dal cosmo’, e di conseguenza nella liberazione dalle condizioni limitative di qualsiasi stato particolare d’esistenza”, della seconda fase si parla “molto più raramente ed in molti casi in maniera molto meno esplicita”. Tale seconda fase consiste in buona sostanza nel passare oltre il ‘non-manifestato’, e conoscere il Principio in quanto “contemporaneamente ‘essere e non-essere’, ‘manifestato e non-manifestato’, ‘suono e silenzio’,” come si esprime Guénon facendo riferimento alla terminologia indù, il che si può descrivere come una ‘ridiscesa alle creature’ (benché questo sia solo il modo in cui tale processo appare ai più); solamente così si realizza pienamente “l’‘Identità suprema’ ”. È nell’Inviato divino (il cui prototipo è rappresentato nell’Islam dall’Inviato di Allah per eccellenza, e cioè Sayyidu-nâ Muhammad) che tale fase e tale realizzazione raggiungono il massimo della loro universalità, di modo che, si potrebbe dire, il Principio è conosciuto in tutta la Sua Oscurità, come in tutta la Sua Luminosità, assolutamente; e a nostro avviso questo è uno dei motivi per cui il Profeta Muhammad è il Modello da seguire in tutte le Vie iniziatiche islamiche. Tornando al testo di Ismâ‘îl Haqqî, lo possiamo ‘rileggere’ e spiegare più compiutamente intendendo che “la conclusione del Cammino verso Allah” è il termine della ‘fase ascendente’ della Via, mentre il “ritorno alla condizione dell’umanità ordinaria” è il compiersi della ‘realizzazione discendente’, visto dal punto di vista del comune credente (perché in senso proprio non si potrebbe parlare di un ‘uomo ordinario’, a meno che non si consideri quest’ultima espressione come comprensiva di una ‘natura divina’, lâhût, accanto a quella ‘umana’, nâsût). In effetti, nel hadith citato l’esperienza ‘esistenziale’ del viaggiatore che smarrisce le sue provviste nel deserto e poi le ritrova può simboleggiare tutto il processo iniziatico nelle sue fasi, sia nei termini espressi da Ismâ‘îl Haqqî, sia perché, aggiungiamo noi, nella sua gioia finale egli va ben al di là della sua condizione di partenza, in quanto ora concepisce sia la sopravvivenza sia la morte, sia l’assenza assoluta di acqua e di cibo che la loro presenza, allo stesso modo in cui per chi è giunto al Principio che riunisce manifestazione e non-manifestazione, l’esistenza stessa non ha più nulla a che fare con ciò che intendono i profani con questa parola, ma è ‘Luce su Luce’, ‘essere e non essere insieme’. Il fatto poi che nel hadith Allah sia “Felice in maniera assai più intensa (ashaddu farahan)” di quanto non lo sia il viaggiatore di cui s’è parlato ha la funzione di innalzare il discorso, facendo comprendere intuitivamente come qui si stia parlando di una Gioia assoluta, e cioè del superamento di ogni condizione limitativa.

 
   
 
 
 
 

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